In questo lavoro, la riflessione sui rischi del regionalismo differenziato è stata condotta con riferimento ai profili finanziari delle bozze di intesa concluse tra il Governo e le tre Regioni del Nord che aspirano all’autonomia differenziata. Il punto di osservazione privilegiato è il confronto tra il meccanismo di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario e quello che le Regioni candidate alla differenziazione intendono adottare. Tra questi due meccanismi deve esserci coerenza: a stabilirlo è l’art. 116, comma 3, Cost. che individua nell’art. 119 Cost. il limite “ontologico” al regionalismo differenziato. Dunque, le scelte relative ai profili finanziari dell’autonomia differenziata devono rimanere nel perimetro di un modello federalista di impronta solidaristica, come quello disegnato dalla riforma del Titolo V Cost, e disciplinato dalla legge dele-ga n. 42/2009 e dal d.lgs. n. 68/2011. Desta, perciò, perplessità il fatto che le bozze di intesa, nel disciplinare le modalità di finanziamento del regionalismo differenziato, non abbiano fatto riferimento alla normativa nazionale sul federalismo fiscale. Ciò può significare che le Regioni proponenti, dopo la stagione degli tagli lineari della spesa verso il basso accompagnata dalla riduzione dei trasferimenti provenienti dalle imposte statali, intendano rivendicare una maggiore autonomia tributaria adottando criteri di finanziamento alternativi a quelli ordinari. L’individuazione delle modalità di finanziamento sembra, infatti, animata dalla preoccupazione principale di garantire che le Regioni proponenti non possano subire, al momento dell’assegnazione, alcuna diminuzione delle risorse finanziarie ma, al contrario, possano contare su di un loro incremento . Prova ne è il passaggio dal criterio di finanziamento che fa leva sui residui fiscali, inserito nelle bozze di intesa del 2018, a quello del valore medio nazionale pro-capite della spesa statale, a cui fanno riferimento le bozze di intesa del 2019. Ad aggravare questa situazione c’è il fatto che, nella bozza di legge quadro, manca qualsiasi riferimento alle fonti di finanziamento delle funzioni differenziate; sicchè, la valorizzazione dell’autonomia finanziaria resta su un binario morto. Il sospetto è che non siano ancora maturi i tempi per superare i ritardi nell’attuazione della delega sul federalismo fiscale e, in particolare, per rafforzare l’autonomia tributaria delle Regioni a statuto ordinario affinchè le stesse – nel rispetto del divieto della doppia imposizione sullo stesso presupposto e dei principi di continenza e di territorialità – siano messe nella condizione di ricomporre, attraverso la leva fiscale, il rapporto tra rappresentanza politica e servizi resi sul territorio.
I rischi del regionalismo differenziato: profili fiscali e finanziari
Daniela Conte
2020-01-01
Abstract
In questo lavoro, la riflessione sui rischi del regionalismo differenziato è stata condotta con riferimento ai profili finanziari delle bozze di intesa concluse tra il Governo e le tre Regioni del Nord che aspirano all’autonomia differenziata. Il punto di osservazione privilegiato è il confronto tra il meccanismo di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario e quello che le Regioni candidate alla differenziazione intendono adottare. Tra questi due meccanismi deve esserci coerenza: a stabilirlo è l’art. 116, comma 3, Cost. che individua nell’art. 119 Cost. il limite “ontologico” al regionalismo differenziato. Dunque, le scelte relative ai profili finanziari dell’autonomia differenziata devono rimanere nel perimetro di un modello federalista di impronta solidaristica, come quello disegnato dalla riforma del Titolo V Cost, e disciplinato dalla legge dele-ga n. 42/2009 e dal d.lgs. n. 68/2011. Desta, perciò, perplessità il fatto che le bozze di intesa, nel disciplinare le modalità di finanziamento del regionalismo differenziato, non abbiano fatto riferimento alla normativa nazionale sul federalismo fiscale. Ciò può significare che le Regioni proponenti, dopo la stagione degli tagli lineari della spesa verso il basso accompagnata dalla riduzione dei trasferimenti provenienti dalle imposte statali, intendano rivendicare una maggiore autonomia tributaria adottando criteri di finanziamento alternativi a quelli ordinari. L’individuazione delle modalità di finanziamento sembra, infatti, animata dalla preoccupazione principale di garantire che le Regioni proponenti non possano subire, al momento dell’assegnazione, alcuna diminuzione delle risorse finanziarie ma, al contrario, possano contare su di un loro incremento . Prova ne è il passaggio dal criterio di finanziamento che fa leva sui residui fiscali, inserito nelle bozze di intesa del 2018, a quello del valore medio nazionale pro-capite della spesa statale, a cui fanno riferimento le bozze di intesa del 2019. Ad aggravare questa situazione c’è il fatto che, nella bozza di legge quadro, manca qualsiasi riferimento alle fonti di finanziamento delle funzioni differenziate; sicchè, la valorizzazione dell’autonomia finanziaria resta su un binario morto. Il sospetto è che non siano ancora maturi i tempi per superare i ritardi nell’attuazione della delega sul federalismo fiscale e, in particolare, per rafforzare l’autonomia tributaria delle Regioni a statuto ordinario affinchè le stesse – nel rispetto del divieto della doppia imposizione sullo stesso presupposto e dei principi di continenza e di territorialità – siano messe nella condizione di ricomporre, attraverso la leva fiscale, il rapporto tra rappresentanza politica e servizi resi sul territorio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.