Tanto a livello Ocse quanto a livello UE, si registrano significativi interventi in materia di cripto-attività che sono una inequivocabile manifestazione di interesse nei confronti del comparto e delle esigenze di una sua regolamentazione. In questo contesto, va collocato l’intervento del legislatore tributario nazionale, volto ad introdurre, ai fini Irpef, una disciplina “unitaria” in materia di tassazione delle cripto-attività. A tal fine, è stata riformata la disciplina dei redditi diversi di natura finanziaria, prevedendo l’introduzione di una nuova categoria nell’ambito della quale sono stati ricondotti i proventi da cripto-attività che, dal 1° gennaio 2023, sono assoggettati a tassazione sostitutiva del 26%. L’intervento di riforma, per quanto apprezzabile presenta alcune rilevanti criticità, che sono oggetto di analisi nel presente lavoro. In più, l’intervento dell’Agenzia delle entrate - contenuto nella recente circolare sulla tassazione delle cripto-attività - sembra non offrire alcuna valida soluzione interpretativa; al contrario, lo stesso finirebbe per generare maggiore incertezza sull’applicazione della nuova disciplina. Al di là di qualsiasi sforzo interpretativo, occorre prendere atto che, nel vigente sistema di tassazione delle cripto-attività, esiste una lacuna: manca una preventiva qualificazione giuridica delle cripto-attività e, di conseguenza, un quadro normativo coerente che garantisca, in futuro, un elevato livello di compliance e gettito per l’Erario. Come è noto, l’etichetta “cripto-attività” individua asset che identificano i molteplici fenomeni del mondo digitale e che, quindi, sono differenti gli uni dagli altri sia per caratteristiche che per modi di utilizzo. A legislazione vigente, le cripto-attività sono disciplinate con una normativa che può dirsi “unitaria” solo perché tali asset risultano accomunati dal generalizzato impiego delle tecnologie c.d. Distributed Ledger Technology (DLT), di cui la blockchain rappresenta l’applicazione più conosciuta. Nessuno sforzo è stato fatto dal legislatore tributario per classificare le cripto-attività, secondo la loro natura giuridica, in specifiche categorie che, seppure differenti le une dalle altre, risultino omogenee al loro interno e, quindi, suscettibili ognuna di un trattamento giuridico “unitario” sotto il profilo fiscale. Al fine di “rimediare” ad una siffatta lacuna, l’Agenzia delle entrate ha proposto di utilizzare una valutazione case by case volta ad individuare e qualificare, mediante un approccio look through (basato sulla prevalenza della sostanza sulla forma) la reale natura delle cripto-attività. Il rischio che si corre, come cercherò di spiegare, è quello di non raggiungere l’obiettivo, sotteso allo sforzo legislativo, di una regolamentazione “unitaria”.

Imposizione reale e ricchezza di origine virtuale: quale tassazione per le cripto-attività?

Daniela Conte
2023-01-01

Abstract

Tanto a livello Ocse quanto a livello UE, si registrano significativi interventi in materia di cripto-attività che sono una inequivocabile manifestazione di interesse nei confronti del comparto e delle esigenze di una sua regolamentazione. In questo contesto, va collocato l’intervento del legislatore tributario nazionale, volto ad introdurre, ai fini Irpef, una disciplina “unitaria” in materia di tassazione delle cripto-attività. A tal fine, è stata riformata la disciplina dei redditi diversi di natura finanziaria, prevedendo l’introduzione di una nuova categoria nell’ambito della quale sono stati ricondotti i proventi da cripto-attività che, dal 1° gennaio 2023, sono assoggettati a tassazione sostitutiva del 26%. L’intervento di riforma, per quanto apprezzabile presenta alcune rilevanti criticità, che sono oggetto di analisi nel presente lavoro. In più, l’intervento dell’Agenzia delle entrate - contenuto nella recente circolare sulla tassazione delle cripto-attività - sembra non offrire alcuna valida soluzione interpretativa; al contrario, lo stesso finirebbe per generare maggiore incertezza sull’applicazione della nuova disciplina. Al di là di qualsiasi sforzo interpretativo, occorre prendere atto che, nel vigente sistema di tassazione delle cripto-attività, esiste una lacuna: manca una preventiva qualificazione giuridica delle cripto-attività e, di conseguenza, un quadro normativo coerente che garantisca, in futuro, un elevato livello di compliance e gettito per l’Erario. Come è noto, l’etichetta “cripto-attività” individua asset che identificano i molteplici fenomeni del mondo digitale e che, quindi, sono differenti gli uni dagli altri sia per caratteristiche che per modi di utilizzo. A legislazione vigente, le cripto-attività sono disciplinate con una normativa che può dirsi “unitaria” solo perché tali asset risultano accomunati dal generalizzato impiego delle tecnologie c.d. Distributed Ledger Technology (DLT), di cui la blockchain rappresenta l’applicazione più conosciuta. Nessuno sforzo è stato fatto dal legislatore tributario per classificare le cripto-attività, secondo la loro natura giuridica, in specifiche categorie che, seppure differenti le une dalle altre, risultino omogenee al loro interno e, quindi, suscettibili ognuna di un trattamento giuridico “unitario” sotto il profilo fiscale. Al fine di “rimediare” ad una siffatta lacuna, l’Agenzia delle entrate ha proposto di utilizzare una valutazione case by case volta ad individuare e qualificare, mediante un approccio look through (basato sulla prevalenza della sostanza sulla forma) la reale natura delle cripto-attività. Il rischio che si corre, come cercherò di spiegare, è quello di non raggiungere l’obiettivo, sotteso allo sforzo legislativo, di una regolamentazione “unitaria”.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11367/125076
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