La Direttiva 2014/95/UE rappresenta in ambito comunitario un importante risultato che testimonia il consolidamento della Corporate Social Responsibility nei processi di rendicontazione d’impresa. Nell’ordinamento italiano la suddetta direttiva è stata recepita mediante il decreto legislativo 30 dicembre 2016, n. 254 che ha previsto l’obbligo per gli Enti di Interesse Pubblico (di seguito anche EIP) con più di 500 dipendenti di rendicontare, nei bilanci di esercizio o in apposito ed autonomo documento, le informazioni di carattere non finanziario e sulla diversità. In particolare, le informazioni non finanziarie da rendicontare sono riconducibili ad aspetti ambientali, sociali, attinenti al personale, ai diritti umani e all’anticorruzione. Obiettivo del presente studio è quello di comprendere in che modo l’Italia stia rispondendo a tale disposto normativo, col preciso intento di inserirsi in quel filone della letteratura che studia gli impatti della regulation sulla qualità della non financial disclosure (Adams, 2004; Beets and Souther, 1999; Crawford and Williams, 2010; Deegan, 2002; Hess and Dunfee, 2007; Husted and Salazar, 2006). La presente ricerca tende a valutare, da un lato, il livello di compliance dell’informativa non finanziaria delle aziende destinatarie del D.Lgs. 254/16, e ad effettuare, dall’altro, un’analisi di confronto tra l’informativa rendicontata prima e dopo l’introduzione del decreto stesso, per verificare l’effetto prodotto dallo stesso sulla qualità della disclosure. A tal fine, la presente ricerca propone l’applicazione di un apposito sistema di scoring, basato sull’analisi di specifici aspetti tra i quali: l’analisi di materialità, la rappresentazione del modello di business, la comunicazione della policy di sostenibilità, i principali rischi, il sistema degli indicatori ed altre informazioni più specifiche previste dal decreto vigente ed attinenti ad aspetti legati all’ambiente, al sociale ed al personale, al rispetto dei diritti umani e all’anticorruzione. Tali aspetti, come noto, costituiscono elementi tipici del non-financial reporting già previsti da standard di rendicontazione internazionali, tra i quali si cita, a mero titolo esemplificativo, il GRI (Global Reporting Initiative) e l’IIRC (International Integrated Reporting Council). Il campione oggetto di analisi è costituito dagli EIP italiani con numero di dipendenti superiore a 500 unità, ossia rientranti nel perimetro di applicazione della Direttiva 2014/95/UE, che hanno reso disponibile, al momento della presente indagine, l’informativa non finanziaria relativa all’anno 2017. Il campione è costituito, pertanto, da n. 147 aziende delle complessive n. 223 che sono risultate in possesso dei requisiti dimensionali previsti dal decreto e, quindi, soggetti alla presente regolamentazione. L’analisi presenta una parte prettamente qualitativa condotta attraverso l’utilizzo della content analysis e una parte di tipo statistico inferenziale atta a definire i fattori in grado di incidere sul livello qualitativo della disclosure di tipo non finanziario. L’analisi di confronto tra l’informativa non financial dei bilanci relativi agli esercizi 2015 (anno precedente all’emanazione del decreto) e 2017 (anno di prima applicazione del decreto), e cioè tra il “prima” e il “dopo”, consente di effettuare una prima verifica degli effetti prodotti dalla direttiva sulla qualità dell’informativa e, quindi, più in generale, su come la regolamentazione abbia impattato sul livello di trasparenza informativa dei bilanci delle imprese di grandi dimensioni in un contesto volontaristico specie in quelle aziende che avevano già intrapreso, prima dell’introduzione del D.Lgs. 254/16, un percorso virtuoso di tipo volontario. La ricerca, inserendosi, inoltre, in quello specifico filone di letteratura che studia la relazione tra informativa voluntary e mandatory, intende riprendere le conclusioni a cui alcuni studi sono giunti in passato, ovvero che la regulation non sempre apporta elementi di sostanziale miglioramento sulla qualità della disclosure di sostenibilità (Bebbington et al., 2012; Chauvey et al., 2015; Costa and Agostini, 2016; Delbard, 2008; Lock and Seele, 2016; Luque- Vilchez and Larrinaga, 2016). Il presente lavoro si sviluppa come segue: dopo una breve descrizione dei contenuti della direttiva e dei diversi livelli di recepimento avvenuti nel contesto europeo, in particolare in quello italiano, viene analizzato, nel paragrafo 3, il dibattito esistente in letteratura in merito all’obbligatorietà versus volontarietà delle informazioni di tipo non finanziario ed ai diversi effetti sulla qualità della stessa informativa, dibattito a cui la presente ricerca intende contribuire attraverso l’analisi del campione sopra citato. Il paragrafo 4 illustra il campione oggetto di indagine e la metodologia utilizzata, mentre il paragrafo 5 dedica spazio ai risultati e alla discussione degli stessi.

Il D.Lgs. 254/2016 sull’informativa non finanziaria: prime evidenze in Italia sul "prima’"e sul "dopo"

Coronella S.;
2018-01-01

Abstract

La Direttiva 2014/95/UE rappresenta in ambito comunitario un importante risultato che testimonia il consolidamento della Corporate Social Responsibility nei processi di rendicontazione d’impresa. Nell’ordinamento italiano la suddetta direttiva è stata recepita mediante il decreto legislativo 30 dicembre 2016, n. 254 che ha previsto l’obbligo per gli Enti di Interesse Pubblico (di seguito anche EIP) con più di 500 dipendenti di rendicontare, nei bilanci di esercizio o in apposito ed autonomo documento, le informazioni di carattere non finanziario e sulla diversità. In particolare, le informazioni non finanziarie da rendicontare sono riconducibili ad aspetti ambientali, sociali, attinenti al personale, ai diritti umani e all’anticorruzione. Obiettivo del presente studio è quello di comprendere in che modo l’Italia stia rispondendo a tale disposto normativo, col preciso intento di inserirsi in quel filone della letteratura che studia gli impatti della regulation sulla qualità della non financial disclosure (Adams, 2004; Beets and Souther, 1999; Crawford and Williams, 2010; Deegan, 2002; Hess and Dunfee, 2007; Husted and Salazar, 2006). La presente ricerca tende a valutare, da un lato, il livello di compliance dell’informativa non finanziaria delle aziende destinatarie del D.Lgs. 254/16, e ad effettuare, dall’altro, un’analisi di confronto tra l’informativa rendicontata prima e dopo l’introduzione del decreto stesso, per verificare l’effetto prodotto dallo stesso sulla qualità della disclosure. A tal fine, la presente ricerca propone l’applicazione di un apposito sistema di scoring, basato sull’analisi di specifici aspetti tra i quali: l’analisi di materialità, la rappresentazione del modello di business, la comunicazione della policy di sostenibilità, i principali rischi, il sistema degli indicatori ed altre informazioni più specifiche previste dal decreto vigente ed attinenti ad aspetti legati all’ambiente, al sociale ed al personale, al rispetto dei diritti umani e all’anticorruzione. Tali aspetti, come noto, costituiscono elementi tipici del non-financial reporting già previsti da standard di rendicontazione internazionali, tra i quali si cita, a mero titolo esemplificativo, il GRI (Global Reporting Initiative) e l’IIRC (International Integrated Reporting Council). Il campione oggetto di analisi è costituito dagli EIP italiani con numero di dipendenti superiore a 500 unità, ossia rientranti nel perimetro di applicazione della Direttiva 2014/95/UE, che hanno reso disponibile, al momento della presente indagine, l’informativa non finanziaria relativa all’anno 2017. Il campione è costituito, pertanto, da n. 147 aziende delle complessive n. 223 che sono risultate in possesso dei requisiti dimensionali previsti dal decreto e, quindi, soggetti alla presente regolamentazione. L’analisi presenta una parte prettamente qualitativa condotta attraverso l’utilizzo della content analysis e una parte di tipo statistico inferenziale atta a definire i fattori in grado di incidere sul livello qualitativo della disclosure di tipo non finanziario. L’analisi di confronto tra l’informativa non financial dei bilanci relativi agli esercizi 2015 (anno precedente all’emanazione del decreto) e 2017 (anno di prima applicazione del decreto), e cioè tra il “prima” e il “dopo”, consente di effettuare una prima verifica degli effetti prodotti dalla direttiva sulla qualità dell’informativa e, quindi, più in generale, su come la regolamentazione abbia impattato sul livello di trasparenza informativa dei bilanci delle imprese di grandi dimensioni in un contesto volontaristico specie in quelle aziende che avevano già intrapreso, prima dell’introduzione del D.Lgs. 254/16, un percorso virtuoso di tipo volontario. La ricerca, inserendosi, inoltre, in quello specifico filone di letteratura che studia la relazione tra informativa voluntary e mandatory, intende riprendere le conclusioni a cui alcuni studi sono giunti in passato, ovvero che la regulation non sempre apporta elementi di sostanziale miglioramento sulla qualità della disclosure di sostenibilità (Bebbington et al., 2012; Chauvey et al., 2015; Costa and Agostini, 2016; Delbard, 2008; Lock and Seele, 2016; Luque- Vilchez and Larrinaga, 2016). Il presente lavoro si sviluppa come segue: dopo una breve descrizione dei contenuti della direttiva e dei diversi livelli di recepimento avvenuti nel contesto europeo, in particolare in quello italiano, viene analizzato, nel paragrafo 3, il dibattito esistente in letteratura in merito all’obbligatorietà versus volontarietà delle informazioni di tipo non finanziario ed ai diversi effetti sulla qualità della stessa informativa, dibattito a cui la presente ricerca intende contribuire attraverso l’analisi del campione sopra citato. Il paragrafo 4 illustra il campione oggetto di indagine e la metodologia utilizzata, mentre il paragrafo 5 dedica spazio ai risultati e alla discussione degli stessi.
2018
9788891786876
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11367/98130
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