Nel corso degli ultimi due decenni le riforme amministrative hanno promosso negli enti locali l’introduzione del controllo di gestione con l’obiettivo di accrescerne efficienza, efficacia e qualità delle prestazioni fornite a cittadini e imprese in un contesto di rigido controllo della spesa pubblica. Già dall’inizio degli anni ottanta comuni e province sono stati i laboratori in cui le amministrazioni pubbliche hanno iniziato a sperimentare il controllo di gestione perché, in quanto istituzioni più a contatto con cittadini e imprese, per prime hanno avvertito la necessità di incrementare le proprie performance. La riforma Cassese, in parte anticipata per gli enti locali dalla legge n. 142/1990, ha rappresentato un punto di svolta rispetto ai sistemi di controllo, e la riforma Bassanini del 1999 ha quindi cercato di renderli conformi a un’amministrazione «pluralista», accrescendone il livello di articolazione funzionale e organizzativa. Tuttavia, come evidenzia la ricerca i cui risultati vengono presentati in questo volume, nella maggioranza degli enti locali lo sviluppo di strumenti e pratiche manageriali è ancora nullo o carente, il sistema di controllo interno, anche laddove è stato impiantato e ha attecchito, fatica a produrre report e, comunque, le informazioni generate sono poi raramente utilizzate per operare scelte gestionali. Le ragioni di questo (parziale) insuccesso sono diverse e soprattutto riconducibili al fatto che si è preferito, sotto l’incalzare delle difficoltà della finanza pubblica, introdurre meccanismi di contenimento della spesa piuttosto che la sua riqualificazione. È quindi evidente che la riforma dei controlli rischia, ancora una volta, di produrre solo un limitato adempimento dei precetti normativi, ma non un effettivo miglioramento del modo di gestire le amministrazioni locali, ed è probabile che i tagli imposti ai fondi in materia di formazione e di consulenza rappresenteranno un impedimento notevole all’attuazione della riforma. In questa situazione l’unica alternativa praticabile sembra essere quella di valorizzare al massimo i giacimenti di conoscenze e capacità di cui le amministrazioni pubbliche già dispongono al proprio interno, a partire da quelle dei network che legano tra loro le persone che lavorano negli enti locali.
Istituzioni locali, performance, trasparenza. Il controllo di gestione in Italia e nel Regno Unito
NATALINI, Alessandro;LEPORE, LUIGI;DI VAIO, Assunta;ALVINO, Federico;PISANO, SABRINA;D'AMORE, Gabriella;
2011-01-01
Abstract
Nel corso degli ultimi due decenni le riforme amministrative hanno promosso negli enti locali l’introduzione del controllo di gestione con l’obiettivo di accrescerne efficienza, efficacia e qualità delle prestazioni fornite a cittadini e imprese in un contesto di rigido controllo della spesa pubblica. Già dall’inizio degli anni ottanta comuni e province sono stati i laboratori in cui le amministrazioni pubbliche hanno iniziato a sperimentare il controllo di gestione perché, in quanto istituzioni più a contatto con cittadini e imprese, per prime hanno avvertito la necessità di incrementare le proprie performance. La riforma Cassese, in parte anticipata per gli enti locali dalla legge n. 142/1990, ha rappresentato un punto di svolta rispetto ai sistemi di controllo, e la riforma Bassanini del 1999 ha quindi cercato di renderli conformi a un’amministrazione «pluralista», accrescendone il livello di articolazione funzionale e organizzativa. Tuttavia, come evidenzia la ricerca i cui risultati vengono presentati in questo volume, nella maggioranza degli enti locali lo sviluppo di strumenti e pratiche manageriali è ancora nullo o carente, il sistema di controllo interno, anche laddove è stato impiantato e ha attecchito, fatica a produrre report e, comunque, le informazioni generate sono poi raramente utilizzate per operare scelte gestionali. Le ragioni di questo (parziale) insuccesso sono diverse e soprattutto riconducibili al fatto che si è preferito, sotto l’incalzare delle difficoltà della finanza pubblica, introdurre meccanismi di contenimento della spesa piuttosto che la sua riqualificazione. È quindi evidente che la riforma dei controlli rischia, ancora una volta, di produrre solo un limitato adempimento dei precetti normativi, ma non un effettivo miglioramento del modo di gestire le amministrazioni locali, ed è probabile che i tagli imposti ai fondi in materia di formazione e di consulenza rappresenteranno un impedimento notevole all’attuazione della riforma. In questa situazione l’unica alternativa praticabile sembra essere quella di valorizzare al massimo i giacimenti di conoscenze e capacità di cui le amministrazioni pubbliche già dispongono al proprio interno, a partire da quelle dei network che legano tra loro le persone che lavorano negli enti locali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.