Il concetto di Social Innovation (SI) è stato uno dei più discussi, negli ultimi anni, nell’ambito del dibattito letterario sui temi dell’innovazione e dello sviluppo sociale (Ashta et al. 2014; Rüede e Lurtz, 2012). Ciò è dovuto, da un lato, alla rilevanza che l’innovazione ha assunto quale risorsa strategicamente rilevante, sia per le imprese, sia per i sistemi locali complessivamente intesi (Calza et al. 2015; Canestrino, 2008; Grant, 1996), così come alle sfide che stanno interessando crescita mondiale e sostenibilità, dal lato opposto (Canestrino e Magliocca, 2016). Nonostante ciò, però, il concetto di SI appare ancora essenzialmente inesplorato e caratterizzato da una sostanziale confusione circa profili definitori e determinanti sottese (Avelino and Wittmayer, 2015). Le difficoltà insite in qualsiasi tentativo di inquadramento teorico del fenomeno oggetto di indagine sono riconducibili alla sovrapposizione tra i background teorici – innovazione e responsabilità sociale – solitamente utilizzati per definire il concetto, così come alla presenza di un elevato numero di attori – imprenditori sociali, investitori, incubatori, organizzazioni di intermediazione e reti transnazionali – solitamente coinvolti nel processo. Non è un caso, dunque, che siano proprio la molteplicità di attori coinvolti nelle attività innovative e sociali, come anche la varietà di motivazioni sottese alla loro adozione – a contribuire alle maggiori difficoltà interpretative circa il significato di SI (Canestrino et al., 2015a). Difficoltà interpretative emergono, altresì, in ragione della multidimensionalità del concetto stesso di innovazione a fronte del quale gli studiosi hanno elaborato molteplici modelli e strumenti di indagine, ciascuno rispondente ad approcci e prospettive differentemente adottate. Così, nell’ambito degli studi di Knowledge Management (Galunic e Rodan, 1998; Nonaka e Takeuchi, 1995; Tsai e Ghoshal, 1998) ciascuna innovazione è interpretata come il risultato di un processo di apprendimento, quest’ultimo intrinsecamente connesso alla creazione di nuova conoscenza. In senso più ampio, dunque, ogni innovazione ingloba nuovo sapere, della cui diffusione è anche responsabile (Canestrino e Magliocca, 2016). A livello micro-economico, fonti letterarie ed evidenze empiriche testimoniano la difficoltà insita in qualsiasi processo di creazione di nuova conoscenza: poiché soltanto un numero limitati di attori, siano essi individui, siano essi imprese, sono in grado di sviluppare un’ampia gamma di conoscenza internamente, emerge il ruolo determinante che le collaborazioni assumono quale facilitatore dei processi innovativi (Freeman, 1987; Lundvall, 1992; Edquist, 1997). L’innovazione si configura, in altri termini, come output di un processo interattivo volto all’apprendimento. In tal senso, il locus dell’innovazione travalica i confini della singola impresa per consolidarsi nel nesso di relazioni tra attori coinvolti in virtuosi processi di apprendimento. Sebbene il tema della cooperazione tra imprese quale modo per creare, trasferire e condividere conoscenza sia da tempo consolidato negli studi di Knowledge Management, meno sviluppati appaiono gli studi incentrati sull’esame delle caratteristiche e delle dinamiche dei cosiddetti Networks for Social Innovation (NfSI), ovvero di quei sistemi di relazione nell’ambito dei quali si generano e si diffondono innovazioni sociali. Alla luce delle considerazioni proposte, il contributo proposto intende colmare, almeno in parte, il gap attualmente esistente, sintetizzando i risultati di un indagine empirica condotta presso selezionati Networks for Social Innovation (NfSI), localizzati nella città di Napoli. La metodologia adottata nel corso dell’indagine e i principali risultati sono stati delineati in un apposito paragrafo, subito dopo aver fornito un inquadramento teorico del fenomeno oggetto di indagine ed aver motivato le ragioni sottese all’adozione di un approccio reticolare all’analisi dello stesso. Conclusioni e implicazioni sono presentate nell’ultima sezione.

Quando la collaborazione diventa “Socialmente Responsabile”: la nascita dei Networks for Social Innovation. Esempi e pratiche nella città di Napoli

CANESTRINO, ROSSELLA;
2017-01-01

Abstract

Il concetto di Social Innovation (SI) è stato uno dei più discussi, negli ultimi anni, nell’ambito del dibattito letterario sui temi dell’innovazione e dello sviluppo sociale (Ashta et al. 2014; Rüede e Lurtz, 2012). Ciò è dovuto, da un lato, alla rilevanza che l’innovazione ha assunto quale risorsa strategicamente rilevante, sia per le imprese, sia per i sistemi locali complessivamente intesi (Calza et al. 2015; Canestrino, 2008; Grant, 1996), così come alle sfide che stanno interessando crescita mondiale e sostenibilità, dal lato opposto (Canestrino e Magliocca, 2016). Nonostante ciò, però, il concetto di SI appare ancora essenzialmente inesplorato e caratterizzato da una sostanziale confusione circa profili definitori e determinanti sottese (Avelino and Wittmayer, 2015). Le difficoltà insite in qualsiasi tentativo di inquadramento teorico del fenomeno oggetto di indagine sono riconducibili alla sovrapposizione tra i background teorici – innovazione e responsabilità sociale – solitamente utilizzati per definire il concetto, così come alla presenza di un elevato numero di attori – imprenditori sociali, investitori, incubatori, organizzazioni di intermediazione e reti transnazionali – solitamente coinvolti nel processo. Non è un caso, dunque, che siano proprio la molteplicità di attori coinvolti nelle attività innovative e sociali, come anche la varietà di motivazioni sottese alla loro adozione – a contribuire alle maggiori difficoltà interpretative circa il significato di SI (Canestrino et al., 2015a). Difficoltà interpretative emergono, altresì, in ragione della multidimensionalità del concetto stesso di innovazione a fronte del quale gli studiosi hanno elaborato molteplici modelli e strumenti di indagine, ciascuno rispondente ad approcci e prospettive differentemente adottate. Così, nell’ambito degli studi di Knowledge Management (Galunic e Rodan, 1998; Nonaka e Takeuchi, 1995; Tsai e Ghoshal, 1998) ciascuna innovazione è interpretata come il risultato di un processo di apprendimento, quest’ultimo intrinsecamente connesso alla creazione di nuova conoscenza. In senso più ampio, dunque, ogni innovazione ingloba nuovo sapere, della cui diffusione è anche responsabile (Canestrino e Magliocca, 2016). A livello micro-economico, fonti letterarie ed evidenze empiriche testimoniano la difficoltà insita in qualsiasi processo di creazione di nuova conoscenza: poiché soltanto un numero limitati di attori, siano essi individui, siano essi imprese, sono in grado di sviluppare un’ampia gamma di conoscenza internamente, emerge il ruolo determinante che le collaborazioni assumono quale facilitatore dei processi innovativi (Freeman, 1987; Lundvall, 1992; Edquist, 1997). L’innovazione si configura, in altri termini, come output di un processo interattivo volto all’apprendimento. In tal senso, il locus dell’innovazione travalica i confini della singola impresa per consolidarsi nel nesso di relazioni tra attori coinvolti in virtuosi processi di apprendimento. Sebbene il tema della cooperazione tra imprese quale modo per creare, trasferire e condividere conoscenza sia da tempo consolidato negli studi di Knowledge Management, meno sviluppati appaiono gli studi incentrati sull’esame delle caratteristiche e delle dinamiche dei cosiddetti Networks for Social Innovation (NfSI), ovvero di quei sistemi di relazione nell’ambito dei quali si generano e si diffondono innovazioni sociali. Alla luce delle considerazioni proposte, il contributo proposto intende colmare, almeno in parte, il gap attualmente esistente, sintetizzando i risultati di un indagine empirica condotta presso selezionati Networks for Social Innovation (NfSI), localizzati nella città di Napoli. La metodologia adottata nel corso dell’indagine e i principali risultati sono stati delineati in un apposito paragrafo, subito dopo aver fornito un inquadramento teorico del fenomeno oggetto di indagine ed aver motivato le ragioni sottese all’adozione di un approccio reticolare all’analisi dello stesso. Conclusioni e implicazioni sono presentate nell’ultima sezione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11367/60446
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