L’intervento pubblico in favore dell’iniziativa economica privata continua a rappresentare, anche nell’attuale stadio di evoluzione del sistema economico — definito da alcuni come «terzo capitalismo» — uno degli strumenti più incisivi di governo dell’economia, uno dei cardini sui quali si articola la nostra «Costituzione economica». In tal senso si è evoluta anche la politica industriale della Comunità europea che, per perseguire lo «sviluppo armonioso» previsto dal Trattato istitutivo della CEE, ha incluso tra i propri scopi la tutela dei settori in crisi, lo sviluppo delle aree deboli, la tutela dell’occupazione ed altri obiettivi di carattere socio-economico, ritenendoli meritevoli di essere perseguiti attraverso interventi pubblici (statali e comunitari) in favore delle imprese private. Il limite all’interventismo statale, per l’ordinamento comunitario, resta tuttavia la tutela della concorrenza, secondo quanrto previsto dall’art. 87 par. 1, del Trattato istitutivo della Comunità. Dopo l’introduzione degli artt. 640-bis e 316-bis nel codice penale, la legge n. 300 del 2000, nel ratificare le tre Convenzioni internazionali in tema di lotta alla corruzione e di tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee, ha configurato un vero e proprio “sistema” di tutela penale delle erogazioni pubbliche, inserendo nel codice anche l’art. 316-ter in materia d’indebita percezione di erogazioni pubbliche e gli artt. 322-ter e 640-quater in materia di confisca, come strumenti di law enforcement. Pertanto, il nostro ordinamento conosce ben quattro fattispecie specificamente rivolte alla tutela dei finanziamenti di scopo: la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p., introdotto dalla legge 55/1990 in materia di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso), la malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p. inserito con la legge 86/1990 in materia di riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e successivamente modificato con legge 18/1992), l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter, inserito dalla legge 300/2000 in materia di tutela degli interessi finanziari della Comunità europea e di corruzione internazionale) nonché la cd. «frode comunitaria» (che sarebbe più corretto denominare «frode agraria»), antecedente legislativo speciale dell’art. 316-ter, originariamente prevista dall’art. 9 del decreto-legge 1051/1967, convertito in legge 10/1968 e infine trasfuso nell’art. 2 del decreto-legge 701/1986, convertito nella legge 898/1986 in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo. Pertanto, se si eccettua quest’ultima norma complementare, la tutela penale dei finanziamenti pubblici all’economia si articola in fattispecie inserite (si vedrà se a ragione o a torto) tra i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e tra i reati contro il patrimonio. Partendo da tale considerazione, si manifesta l’esigenza di aggiornare, sulla scorta di una corretta ricostruzione del bene giuridico tutelato, l’ambito di offensività delle condotte di illecita percezione e di malversazione dei finanziamenti pubblici, con particolare riferimento agli effetti distorsivi che tali fenomenui producono sull’intero sistema economico e sugli obiettivi della programmazione economica, nonché alla forte «carica criminogena» che esso esprime, supportando la commissione di ulteriori reati di falso o contro la pubblica amministrazione e sollecitando comportamenti analoghi da parte degli altri operatori economici, quantomeno per motivi di concorrenzialità. Invero, i reati di illecita captazione e malversazione dei finanziamenti di scopo sono muniti di una «carica offensiva» che travalica i tradizionali confini dei reati contro il patrimonio e contro la pubblica amministrazione, per caratterizzarsi anche e soprattutto come reati contro l’economia, in quanto violazioni del principio costituzionale di eguaglianza nei rapporti economici, principio di cui l’aspetto della concorrenza costituisce un corollario. Appare quindi necessario prevedere alcuni aggiornamenti, talvolta anche profondi, per il novero delle figure criminose interessate dal fenomeno in esame: in particolare, appare quantomeno discutibile la configurabilità del concorso formale con i reati di falso, troppo precipitosamente data per scontata, mentre non è stata adeguatamente indagata la possibilità del concorso (formale o materiale, a seconda delle fattispecie) con il delitto di reimpiego dei proventi da reato di cui all’art. 648-ter c.p. Anche i rapporti tra le varie fattispecie che compongono il “sistema” di tutela penale delle erogazioni pubbliche presentano non pochi problemi, soprattutto con riferimento alla configurabilità del concorso fra truffa aggravata ex art. 640-bis c.p. e malversazione a danno dello Stato e ai riflessi che l’introduzione dell’art. 316-ter c.p. produce sull’esegesi della stessa nozione di truffa offerta in precedenza dalla giurisprudenza. In ogni caso, la costruzione di un sistema di tutela rispondente al principio di extrema ratio presuppone l’integrazione tra la prospettiva assiologica ed i risultati della ricerca criminologica e criminalistica, impossibile da attuarsi finché il legislatore procederà sulla strada di riforme meramente novellistiche. Una corretta “politica dei beni giuridici”, infatti, dev’essere capace anche di configurare un sistema basato sulla complementarità delle diverse tecniche di tutela, mentre quello attuale comprende, senza però “integrarle”, sanzioni penali e amministrative, pur prevedendo l’importante novità della responsabilità para-penale delle persone giuridiche.

Il sistema di tutela penale delle erogazioni pubbliche dopo la ratifica delle convenzioni internazionali per la lotta alla corruzione

DE VITA, ALBERTO
2005-01-01

Abstract

L’intervento pubblico in favore dell’iniziativa economica privata continua a rappresentare, anche nell’attuale stadio di evoluzione del sistema economico — definito da alcuni come «terzo capitalismo» — uno degli strumenti più incisivi di governo dell’economia, uno dei cardini sui quali si articola la nostra «Costituzione economica». In tal senso si è evoluta anche la politica industriale della Comunità europea che, per perseguire lo «sviluppo armonioso» previsto dal Trattato istitutivo della CEE, ha incluso tra i propri scopi la tutela dei settori in crisi, lo sviluppo delle aree deboli, la tutela dell’occupazione ed altri obiettivi di carattere socio-economico, ritenendoli meritevoli di essere perseguiti attraverso interventi pubblici (statali e comunitari) in favore delle imprese private. Il limite all’interventismo statale, per l’ordinamento comunitario, resta tuttavia la tutela della concorrenza, secondo quanrto previsto dall’art. 87 par. 1, del Trattato istitutivo della Comunità. Dopo l’introduzione degli artt. 640-bis e 316-bis nel codice penale, la legge n. 300 del 2000, nel ratificare le tre Convenzioni internazionali in tema di lotta alla corruzione e di tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee, ha configurato un vero e proprio “sistema” di tutela penale delle erogazioni pubbliche, inserendo nel codice anche l’art. 316-ter in materia d’indebita percezione di erogazioni pubbliche e gli artt. 322-ter e 640-quater in materia di confisca, come strumenti di law enforcement. Pertanto, il nostro ordinamento conosce ben quattro fattispecie specificamente rivolte alla tutela dei finanziamenti di scopo: la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p., introdotto dalla legge 55/1990 in materia di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso), la malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p. inserito con la legge 86/1990 in materia di riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e successivamente modificato con legge 18/1992), l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter, inserito dalla legge 300/2000 in materia di tutela degli interessi finanziari della Comunità europea e di corruzione internazionale) nonché la cd. «frode comunitaria» (che sarebbe più corretto denominare «frode agraria»), antecedente legislativo speciale dell’art. 316-ter, originariamente prevista dall’art. 9 del decreto-legge 1051/1967, convertito in legge 10/1968 e infine trasfuso nell’art. 2 del decreto-legge 701/1986, convertito nella legge 898/1986 in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo. Pertanto, se si eccettua quest’ultima norma complementare, la tutela penale dei finanziamenti pubblici all’economia si articola in fattispecie inserite (si vedrà se a ragione o a torto) tra i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e tra i reati contro il patrimonio. Partendo da tale considerazione, si manifesta l’esigenza di aggiornare, sulla scorta di una corretta ricostruzione del bene giuridico tutelato, l’ambito di offensività delle condotte di illecita percezione e di malversazione dei finanziamenti pubblici, con particolare riferimento agli effetti distorsivi che tali fenomenui producono sull’intero sistema economico e sugli obiettivi della programmazione economica, nonché alla forte «carica criminogena» che esso esprime, supportando la commissione di ulteriori reati di falso o contro la pubblica amministrazione e sollecitando comportamenti analoghi da parte degli altri operatori economici, quantomeno per motivi di concorrenzialità. Invero, i reati di illecita captazione e malversazione dei finanziamenti di scopo sono muniti di una «carica offensiva» che travalica i tradizionali confini dei reati contro il patrimonio e contro la pubblica amministrazione, per caratterizzarsi anche e soprattutto come reati contro l’economia, in quanto violazioni del principio costituzionale di eguaglianza nei rapporti economici, principio di cui l’aspetto della concorrenza costituisce un corollario. Appare quindi necessario prevedere alcuni aggiornamenti, talvolta anche profondi, per il novero delle figure criminose interessate dal fenomeno in esame: in particolare, appare quantomeno discutibile la configurabilità del concorso formale con i reati di falso, troppo precipitosamente data per scontata, mentre non è stata adeguatamente indagata la possibilità del concorso (formale o materiale, a seconda delle fattispecie) con il delitto di reimpiego dei proventi da reato di cui all’art. 648-ter c.p. Anche i rapporti tra le varie fattispecie che compongono il “sistema” di tutela penale delle erogazioni pubbliche presentano non pochi problemi, soprattutto con riferimento alla configurabilità del concorso fra truffa aggravata ex art. 640-bis c.p. e malversazione a danno dello Stato e ai riflessi che l’introduzione dell’art. 316-ter c.p. produce sull’esegesi della stessa nozione di truffa offerta in precedenza dalla giurisprudenza. In ogni caso, la costruzione di un sistema di tutela rispondente al principio di extrema ratio presuppone l’integrazione tra la prospettiva assiologica ed i risultati della ricerca criminologica e criminalistica, impossibile da attuarsi finché il legislatore procederà sulla strada di riforme meramente novellistiche. Una corretta “politica dei beni giuridici”, infatti, dev’essere capace anche di configurare un sistema basato sulla complementarità delle diverse tecniche di tutela, mentre quello attuale comprende, senza però “integrarle”, sanzioni penali e amministrative, pur prevedendo l’importante novità della responsabilità para-penale delle persone giuridiche.
2005
88-14-11554-0
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11367/16082
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